Corporate governance

L’evoluzione delle best practice di corporate governance

Le best practice di corporate governance in tutto il mondo hanno conosciuto una evoluzione significativa negli ultimi due decenni, grazie ad una combinazione di iniziative bottom up e top down. Un risultato di rilievo è l’affermazione della responsabilità sociale aziendale (CSR) come priorità operativa.

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La corporate governance al centro della nostra ricerca fondamentale

La solidità della corporate governance è sempre stata uno dei punti di focalizzazione della nostra analisi delle imprese, tenuto conto delle sue implicazioni sulla nostra selezione dei titoli nel lungo periodo. Valutare la qualità della corporate governance significa molto di più che guardare la composizione del consiglio di amministrazione e la separazione tra i ruoli del presidente e dell’amministratore delegato. Tramite le nostre relazioni con gli amministratori esecutivi, possiamo costruire un quadro della cultura dell’impresa in termini di coerenza, responsabilità, consapevolezza di dovere rendere conto, trasparenza ed efficienza.

L’evoluzione delle best practice di corporate governance

Una corporate governance di alta qualità emerge da metriche finanziarie come il rendimento sul capitale investito (ROIC) e in elevati livelli di fiducia tra gli stakeholder. Una corporate governance debole invece spesso si traduce in metriche finanziarie non soddisfacenti nel tempo. Quando l’allocazione del capitale o la strategia si discosta da buone pratiche di corporate governance, gli investitori possono fornire un feedback tramite il voto nelle assemblee e entrando direttamente in contatto con il management.

Nell’ultimo decennio, ogni governance di prim’ordine ha incluso sempre più l’attenzione per le problematiche ambientali e sociali, in particolare su una maggiore sostenibilità. Nello stesso tempo, la comunicazione delle imprese è costantemente migliorata dal lancio nel 2000 della Global Reporting Iniative. Più recentemente, l’International Reporting Initiative e il Sustainability Accounting Standards Board statunitense hanno contribuito ai progressi di reporting specifico di settore e alla sua rilevanza per gli investitori. Anche la capacità di misurare e seguire le best practice di governance è essenziale per identificare le imprese con forti credenziali CSR. In modo similare, queste misure possono aiutare a evitare i relativi disastri collegati consentendo agli investitori e al pubblico di esercitare pressione sul management affinché migliori le proprie pratiche. Anche se è facile da dirsi con il senno di poi, verrebbe da chiedersi se i disastri ambientali del passato avrebbero potuto essere evitati qualora avessimo avuto all’epoca la disponibilità di dati e l’accountability ESG che abbiamo oggi.

Questa evoluzione nel comportamento di corporate governance tende a essere guidata da una combinazione di iniziative bottom up e top down. Riguardo alle prime, l’aumentata globalizzazione è stata determinante nell’ampliare il campo di applicazione della CSR negli anni 1990, quando sono state gettate le basi per quello che oggi intendiamo come CSR. Da allora vi sono stati anche numerosi eventi e accordi internazionali, in particolare l’adozione dell’Agenda 21, la Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici e il Protocollo di Kyoto.

L’importanza di queste iniziative nelle agende dei leader delle multinazionali è andata aumentando e ha portato le imprese a considerare il loro impatto più ampio, guardando oltre la redditività. Da allora il campo di applicazione della CSR si è allargato. Oggi molte società definiscono i loro programmi CSR sulla base dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (adottati nel 2015), che vanno dalla parità di genere alla protezione della vita degli oceani. La CSR è anche sempre più collegata alla promozione delle iniziative a favore della diversità, delle pari opportunità e dell’inclusione, poiché le imprese socialmente responsabili dovrebbero promuovere un ambiente di lavoro accogliente e combattere la discriminazione.

Iniziative di corporate governance di tipo bottom up

Inizialmente, molti investitori istituzionali erano riluttanti ad abbracciare i concetti es G, sostenendo che il loro obbligo fiduciario consisteva unicamente nel massimizzare il valore per gli azionisti. Bisogna dire che queste argomentazioni vengono fatte da qualcuno anche oggi. Ma con l’aumentare delle evidenze che le problematiche esG hanno implicazioni finanziarie, l’onda si è spostata. Un esempio di una iniziativa bottom up è quello dell’ex Ceo di Uniliver, Paul Polman, sotto la cui leadership la società ha sposato l’obiettivo di disaccoppiare il suo impatto ambientale dalla sua crescita. Venne realizzato un Sustainable Living Plan per spostare Unilever verso una crescita più amichevole per il Pianeta incluso il cambiamento verso energia 100% rinnovabile, la riduzione in misura significativa dei rifiuti plastici e l’utilizzo di acqua, l’eliminazione della deforestazione dalla sua catena di approvvigionamento e l’esercizio di pressione sui leader mondiali per adottare l’Accordo di Parigi sul clima. Gli investitori non hanno sempre accolto con favore queste iniziative. Quando però Kraft Heinz, una delle società tra le ultime in classifica per l’impegno riguardo alla sostenibilità1, ha presentato una offerta di acquisizione ostile per Unilever nel 2017, il management di Unilever si è avvalso di ogni strumento in suo possesso per respingerla. Da allora, l’azione di Kraft Heinz ha sottoperformato del 60% rispetto a quella di Unilever, con una marcata divergenza di sorti finanziarie tra le due società di beni di consumo di base.

Un caso di studio di iniziativa top down: l’esperienza italiana ed europea della diversità nel consiglio di amministrazione

Per generazioni, l’Italia è rimasta indietro alla maggioranza dei suoi paesi vicini europei sul tema della promozione della diversità di genere sul luogo di lavoro, pagando per questo costi sociali ed economici. Con le parole del leader dei diritti civili Jesse Jackson, «L’inclusione non è una questione di correttezza politica. È la chiave per la crescita». Arrivando infine a capire le implicazioni di questa realtà, il governo italiano nel 2011 ha introdotto un obbligo di diversità di genere dei consigli di amministrazione.La legge italiana sulla parità di genere (Golfo Mosca) ha imposto l’adozione graduale di una quota minima di diversità di genere per le società quotate in borsa.

La legge inizialmente richiedeva quote per tre rinnovi consecutivi dei consigli, con una quota del 20% per il genere sotto rappresentato per il primo rinnovo e del 33% per il secondo e il terzo. Estendendo tale normativa, una nuova legge che allunga il periodo a sei rinnovi consecutivi per portare alla fine la quota al 40% per il genere meno rappresentato è entrata in vigore a ottobre 2020.

Queste misure hanno portato l’Italia nella fascia più virtuosa dello spettro delle politiche sulla diversità europee. Otto paesi europei2 hanno adottato quote di genere obbligatorie a livello nazionale per le società quotate, mentre 103 hanno scelto un approccio più morbido, utilizzando una varietà di misure e iniziative. Rimangono pertanto nove4 paesi ue che non hanno fatto alcuna azione sostanziale per facilitare la diversità di genere a livello dei board societari.

La differenza dei risultati ad oggi ottenuti da queste varie alternative di politiche è stata molto evidente. Partendo da un livello similare di circa il 13% di rappresentanza femminile nei board dei paesi membri dell’ue nel 2011, la percentuale delle donne nei board delle società è aumentata: 

  • al 36,4% nei paesi che hanno adottato leggi per promuovere un maggiore numero di donne nelle posizioni top;
  • al 30,3% nei paesi che hanno adottato misure soft;
  • al 16,6% nei paesi che non hanno fatto azioni5.

In superficie, l’approccio obbligatorio ha fornito risultati decisamente apprezzabili. Ma appena al di sotto della superficie, rimane un problema di diversità non ancora eliminato. Nonostante i progressi a livello del consiglio di amministrazione, le donne continuano ad essere escluse dalla posizioni di vertice nelle società. In particolare, meno di una su 10 delle maggiori società quotate nell’eu 27 hanno una donna presidente del consiglio di amministrazione (8,5%) o amministratore delegato (7,8%).

Le quote fissate per legge si applicano tipicamente a livello del consiglio di amministrazione, che tende a comprendere prevalentemente amministratori non esecutivi, e quindi non riguardano le posizioni veramente direzionali. In effetti, i paesi con quote di genere vincolanti per i membri del board hanno livelli di rappresentanza femminile leggermente più bassi tra gli esecutivi (18,3%) rispetto a quelle che hanno adottato misure soft (21,8%) o non hanno fatto alcuna azione (20,5%). È divenuto chiaro che mentre le quote fissate per legge hanno un impatto visibile sulla rappresentanza femminile tra gli amministratori non esecutivi, questo non si è riflesso ai livelli esecutivi.

In definitiva, nonostante i progressi a livello dei board guidati dall’azione legislativa in diversi stati membri dell’ue, le donne nell’insieme continuano a essere escluse dalle posizioni di vertice nelle società. Questa problematica sociale in effetti è solo «scesa» di un livello, dal consiglio di amministrazione agli executive responsabili della gestione quotidiana di queste società. Perché le quote possano essere efficaci, dobbiamo riconoscere che gli impedimenti sociali nascosti (ad es. la mancanza di servizi per l’assistenza dei bambini) rimangono un ostacolo per la realizzazione di una rappresentanza veramente rispettosa della diversità sul posto di lavoro. Senza un approccio olistico a queste problematiche sociali profondamente strutturali, tali disparità sono destinate a rimanere. Questo rafforza il concetto che per ottenere un vero cambiamento sistemico serve collaborazione a tutti i livelli della società, compresi i responsabili di politica economica, i leader delle imprese e della società civile, che lavorino per ottenere lo stesso risultato, sia da un punto di vista bottom up che top down.

 

1 Fonte: CERES, una organizzazione non profit di patrocinio degli azionisti che chiede alle società di adottare solide politiche di responsabilità sociale aziendale
2 Belgio, Francia, Italia, Germania, Austria, Portogallo, Grecia, Paesi Bassi
3 Danimarca, Estonia, Irlanda, Spagna, Lussemburgo, Polonia, Romania, Slovenia, Finlandia, Svezia
4 Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Slovacchia
5 Fonte: secondo l’EIGE (Istituto europeo per l’uguaglianza di genere)
6 https://eige.europa.eu/publications/statistical-brief-gender-balance-business-and-finance-2021

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